Antonio G. Bortoluzzi
con
Michela Nicolussi Moro
Data: ven 06 ottobre 2023
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17:00
Il saldatore del Vajont (Marsilio) di Antonio G. Bortoluzzi ci accompagna in un racconto inedito sul disastro della diga del Vajot, narrando in principio l’epica della costruzione, l’idea di un’Italia all’avanguardia nelle opere pubbliche e nella potenza industriale e come conseguenza l’immane tragedia, le morti e la distruzione irrimediabile anche in ciò che resta oggi. Dialoga con l’autore la giornalista Michela Nicolussi Moro.
Sono sessanta gli anni che ci separano dal 9 ottobre 1963, la notte del disastro della diga del Vajont. Erano le 22.39 quando milioni di metri cubi di roccia e terra precipitarono in pochi istanti nell’acqua, e l’onda immensa si alzò nel cielo e annientò in pochi minuti migliaia di vite, paesi interi, storie e tradizioni secolari. Sessant’anni è anche la vita di un uomo al quale sono accadute tante cose: i giochi da ragazzino al torrente, le gite scolastiche, i libri d’avventura letti, e poi l’amore, i figli, gli amici, tutto questo dentro quarant’anni di fabbrica di cui molti vissuti nella zona industriale di Longarone, all’ombra della diga, uno scudo chiaro che però è una lapide, ancora piantata lì, in mezzo alle montagne. “Il saldatore del Vajont” racconta questo tempo, attraverso l’esperienza di una visita guidata all’impianto idroelettrico – la centrale nella grotta di Soverzene, le gallerie, il corpo della diga, il coronamento, la frana del Monte Toc –, un viaggio che fa riemergere nel protagonista i ricordi della sua giovinezza contadina, memorie di famiglia e di paese, confidenze di colleghi che al Vajont hanno avuto vittime, accanto a immagini nitide e corporee della vita di cantiere e di capannone, dove la materia viene rimodellata: il calcestruzzo, la saldatura, e ancora attrezzi, ponteggi, tecniche, un fare concreto, faticoso e moderno, che ha soppiantato il lavoro millenario, massacrante, di uomini e donne sui prati ripidi, con le bestie, nelle valli alpine e sulle montagne. Scorrendo le pagine, man mano che i fili e i nodi della memoria vengono rinsaldati, si comprende che le costruzioni umane sono simboli tragici. Tutta la perizia, i calcoli, il metallo, la sabbia, i sacchi di cemento accatastati e trasportati verso i cantieri, le migliaia di ore di lavoro di operai e artigiani abili, tutto quell’entusiasmo di partecipare a un’impresa: tutto è finito in pochi minuti.
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